Come chiaramente espresso dalla Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, n. 608 del 12 gennaio 2017, la procedura di sequestro preventivo antimafia e quella di fallimento si fondano su presupposti differenti; il fallimento basa la propria ragione di esistenza sul concetto di insolvenza e ha requisiti soggettivi e oggettivi circoscritti ad un preciso ambito temporale, soprattutto legati alla mancata cessazione dell’attività imprenditoriale. Tra le ragioni che hanno portato al contenzioso vi è la supporta revoca del fallimento di una società, basata sul fatto che la misura di prevenzione aveva ad oggetto oltre alle quote della stessa, anche tutti i beni facenti parte del suo patrimonio, fatto questo che da solo avrebbe impedito la dichiarazione di fallimento. Come già rilevato in altre pronunce dalla Corte di Cassazione (Cass. 8238/2012, 1739/2014), la mancanza di una massa attiva da ripartire tra i creditori non può essere un ostacolo alla dichiarazione di fallimento, per il quale peraltro, l’articolo 118, co. 4, L.F., prevede al n.4, l’ipotesi di chiusura della procedura per mancanza di attivo. L’articolo 63, co. 6, del codice antimafia, approvato con Decreto Legislativo 6.9.2011, n.159, prevede la possibilità di chiudere il fallimento quando, tra i beni dell’attivo vi siano esclusivamente beni sottoposti a sequestro; altro principio simile a questo è ribadito dall’articolo 64, co. 7 dello stesso decreto, previsto in caso di sequestro o confisca sopravvenuti al fallimento. L’articolo 63, co. 1 del decreto 159 espressamente prevede che ” salva l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento assunta dal debitore o da uno o più creditori, il pubblico ministero, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario che ne rilevi i presupposti, chiede al tribunale competente che venga dichiarato il fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca“. Il successivo comma 4 prevede che “quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare“. Se invece il fallimento avviene prima del provvedimento di sequestro, allora il comma 1 dell’articolo 64 D.Lgs. 159/2011 interviene prevedendo la separazione dei beni con conseguente consegna degli stessi all’amministratore giudiziario. Ancora, l’articolo 65 del D.Lgs 159/2011 prevede che qualora la dichiarazione di fallimento sia successiva all’applicazione delle misure di prevenzione del controllo ovvero dell’amministrazione giudiziaria, la misura dei prevenzione cessi sui beni compresi nel fallimento. La cessazione è dichiarata dal Tribunale con ordinanza. Inoltre, nel caso in cui alla chiusura del fallimento vi siano beni sottoposti a misure di prevenzione, il Tribunale della prevenzione dispone con decreto l’applicazione delle misura sui beni medesimi, ove persistano esigenze di prevenzione. Come giustamente espresso con la Sentenza oggetto di commento:” le due procedure si fondano invero su presupposti differenti, tra cui – quanto al fallimento – l’insolvenza, i requisiti soggettivi temporalmente determinati, la non cessazione dell’attività: tutte circostanze il cui accertamento non è ripetibile identicamente ad epoche diverse, giudicandosi pertanto irrazionale una posticipazione della tutela dei creditori a fronte di un interesse pubblico che può nel frattempo divenire recessivo. Proprio tale considerazione, unitamente alla necessità di valutare la legittimità della dichiarazione di fallimento al momento in cui venne disposta, impongono di ripetere il principio ancorché nella fattispecie sia stata rappresentata dalle parti la sopravvenuta revoca della misura di prevenzione“.
A cura di Silvia Cecconi